La Teoria della Relatività

Albert Einstein[1] pubblicò nel 1905 la prima parte della sua teoria, che venne chiamata Relatività Speciale o Ristretta, perché “restringeva” ai soli fenomeni elettromagnetici la competenza dei suoi studi, tralasciando quelli gravitazionali, che vennero sviluppati più tardi e pubblicati nel 1915 con il nome di Relatività Generale. Ma l’accoglienza che i fisici diedero alla Relatività fu molto tiepida, per due fondamentali motivi: il primo motivo riguardava il plausibile sospetto di plagio nei confronti degli studi di fisici, quali Hendrik Antoon Lorentz, che aveva già formulato il principio di relatività, con le sue leggi sulle trasformazioni delle coordinate dello spazio e del tempo tra l’etere a riposo e sistemi in moto. Henri Poincaré, che aveva già teorizzato la velocità della luce quale limite invalicabile, e Olinto De Pretto che nel 1904 aveva già formulato E=mv2 [2].

Il secondo motivo, riguardava la fastidiosa contraddizione in cui Einstein incappò nell’enunciare la sua teoria, nella quale convivevano forzatamente, il galileiano principio d’inerzia (primo postulato della Relatività), secondo il quale nessun moto è mai assoluto ma sempre relativo al sistema di riferimento, ed il postulato della luce (secondo postulato della Relatività) secondo il quale la velocità della luce è un parametro assoluto, indipendente dal moto di qualsiasi osservatore inerziale. Per non parlare della Gravitazione Universale di Newton, da considerare intrinsecamente anti relativistica, in quanto in essa si utilizza il concetto di azione a “distanza” tra due corpi, concetto senza senso secondo la Relatività, in quanto qualsiasi parametro “lineare” deve considerarsi relativo esclusivamente al sistema di riferimento rispetto al quale viene misurato.
Einstein poi, con discutibile superficialità, liquidò le fenomenologie elettromagnetiche dalla sua Relatività, in quanto affermava, non rispettavano le asimmetrie teorizzate e dipendevano dal moto relativo degli oggetti, nonostante fosse già allora risaputo che l’induzione elettromagnetica si potesse manifestare senza movimenti relativi tra induttore ed indotto, in virtù delle sole variazioni locali dei campi elettrico e magnetico.

A conferma della ritrosia dei fisici ad accettare la teoria della Relatività, date le inesistenti conferme sperimentali, oltre alle vistose contraddizioni teoriche, ricordiamo, che il premio Nobel per la fisica, Einstein lo ricevette solo nel 1921, e lo ritirò l’anno successivo, a causa delle polemiche sollevate dalla comunità scientifica, restia ad accettare quella che appariva chiaramente come un’imposizione “politica”. Einstein fu comunque insignito del Nobel per le sue scoperte sull’effetto fotoelettrico della luce, ma non ci fu mai in quel contesto riferimento alla Relatività.

La pressione “politica” esercitata sulla comunità dei fisici ad accettare una così traballante teoria, fu opera di eminenti esponenti della Royal Society, tra cui l’astronomo Sir Arthur Stanley Eddington, il quale nel 1919 organizzò una spedizione scientifica ai tropici per studiare un’eclissi di sole, e per avvalorare la presumibile deflessione della luce causata dalla gravità del Sole, secondo quando predetto da Einstein. La successiva relazione di Eddington sui risultati della spedizione, presentata durante una conferenza alla Royal Society, diede la conferma delle ipotesi relativistiche riguardanti la luce e la gravità, e da quel momento Einstein e la sua teoria conquistarono l’Olimpo della Scienza.

Qualche anno più tardi, precisamente nel 1930, le lastre fotografiche della spedizione di Eddington furono controllate da un fisico di nome Poor, il quale constatò che l’85% di queste erano state scartate in quanto non in sintonia con le ipotesi relativistiche, mentre erano state ritenute valide tutte quelle (il restante 15%) che confermavano la teoria di Einstein; insomma durante quell’eclissi, la luce delle stelle non ne voleva sapere di deflettere come doveva, anzi il maggior numero di raggi luminosi, se ne andava addirittura dalla parte opposta, così da confutare le previsioni di Einstein. Settant’anni dopo, nel 2002, in un articolo pubblicato dal British Institute of Precise Physics, si sottolinea come le macchine fotografiche a calotta utilizzate da Eddington, avevano una precisione di 1/25°. In funzione di questo parametro, risulta che i dati pubblicati da Eddington a sostegno della Relatività sono “200 volte troppo precisi”; e quindi in nessun modo i dati presentati da Eddington alla Royal Society, potevano e possono essere presi quale conferma osservativa alla teoria della Relatività, tanto meno quindi, avere una valenza scientifica [3].
E’ opportuno precisare che Eddington nel 1920, rievocando le vicende della spedizione a Sobral e all’isola di Principe, durante l’eclissi dell’anno prima, ammise candidamente e senza nessun pentimento di “non essere stato del tutto imparziale”.

Gli elementi che consentirono la nascita del modello cosmologico del Big Bang, furono tre:

  1. La geometria non euclidea (spazio a più di tre dimensioni).
  2. La teoria della relatività generale di Einstein.
  3. I “redshift” galattici, cioè lo spostamento verso il rosso dello spettro di emissione delle galassie, in relazione alla loro magnitudine o luminosità.

1- In geometria il concetto di spazio a più di tre dimensioni, prese forma nel corso del XIX secolo a seguito degli studi di vari matematici (Gauss, Bòlyai, Cayley, Cauchy, Grassmann, Von Staudt, Chasles), ma fu il matematico russo Nicolaj Ivanovic Lobacevskij, che diede, a quella che poi verrà denominata “geometria non euclidea” la connotazione di rivoluzione matematica; egli stesso la definiva “geometria immaginaria” o “pangeometria universale”, in quanto contrastava così palesemente il senso comune, da sembrare irreale. Questa nuova visione, rimase per molto tempo una branca marginale di studio della matematica; fu G.F.B. Riemann che ne approfondì la ricerca e ne divulgò i contenuti.[4]

2- Dopo aver completato la relatività generale, Einstein nel 1917, pubblica un articolo dal titolo “Kosmologische betrachtungen zur allgemeinen relativitatstheorie” (Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relatività generale), dove, partendo dalla geometria non euclidea di Riemann, formula la sua concezione di un universo finito, statico, omogeneo e isotropo; cioè di un universo pieno di materia senza pressione, di densità costante nello spazio e nel tempo, uniformemente curvato su se stesso in una sfera perfetta (ipersfera). Un universo finito ma illimitato; matematicamente equiparato ad un cilindro, dove l’ipersfera diventa la circonferenza di base, e l’altezza diventa l’asse infinito del tempo, ovviamente secondo la visione riemanniana dello spazio geometrico quadridimensionale. Einstein vede l’universo come un gas di Boltzmann, dove le stelle sono in equilibrio come le molecole del gas. Poi si rende conto che il “suo” universo statico, è in contraddizione con la “sua” teoria della relatività generale; quindi pur di non abbandonare il modello di universo statico, e per non contraddire la relatività, introduce nella formulazione un’arbitraria costante (lambda), denominata “costante cosmologica”, che però, dovrà in seguito abbandonare, insieme al modello di universo statico; con la relatività generale, comunque, si inaugura un nuovo capitolo della storia della cosmologia.[5]

3- Durante gli anni ’20, l’astronomo tedesco Carl Wirtz e poco più tardi anche lo statunitense Edwin Hubble [6], osservano come lo spostamento verso il rosso degli spettri di emissione delle galassie (redshift) sembra legato alle loro magnitudini o luminosità: più debole è la luce di una galassia, quindi apparentemente più lontana da noi, tanto più alto è il suo redshift. Basandosi entrambi sulla fisica acustica constatano un’analogia con l’effetto Doppler, ipotizzano quindi che le stelle si stiano allontanando l’una dall’altra, avvalorando l’ipotesi di ciò che appariva come un’espansione dell’universo.

La cosmologia del XX secolo, è totalmente condizionata dalla teoria della relatività, che ha abbandonato e ripudiato il concetto di etere, a favore di un universo gravitazionale assolutamente vuoto, ma soprattutto di un universo finito, rovesciando quindi la visione dei fisici del XIX secolo che propendevano per l’universo infinito nello spazio e nel tempo. Gli artefici di questo universo biblico-matematico, furono un prelato belga, Georges Henri Lamaitre, un fisico russo, Georgij Antonovich Gamow, ed il sempre presente astronomo britannico Arthur Eddington.

Sir Arthur Stanley Eddington, dal 1914 è direttore dell’osservatorio astronomico di Cambridge. Alla fine della prima guerra mondiale, promuove la divulgazione della relatività generale di Einstein, di cui è un fervente sostenitore; nel 1918, presso la “Physical Society of London”, presenta una relazione dal titolo “The Relativity Theory of Gravitation”, la prima di una lunga serie di opere divulgative sulla relatività. Negli anni 1923 e 1924, Lamaitre è allievo di Eddington a Cambridge. In quegli anni, senza sapere l’uno dell’altro, prima il matematico russo Alexander Friedmann (1922), poi Lamaitre, risolvendo le equazioni della relatività generale, giungono alle stesse conclusioni riguardanti il comportamento dell’universo al trascorrere del tempo, e in totale antitesi rispetto alle previsioni di Einstein e al suo universo statico.

Lamaitre tra la fine degli anni 20 e l’inizio degli anni 30, propone la sua teoria di un universo in espansione, nato da una immane esplosione di un “atomo primevo” 15 miliardi di anni fa; un universo destinato però a morire in due modi: o espandendosi nel limbo di una notte infinita, per mancanza di energia, o contraendosi fino al totale collasso su se stesso; una mirabile connessione tra la deriva virtuale appena intrapresa dalla fisica e la necessità di una rivalutazione concettuale, su base scientifica, della agostiniana visione della creazione dal nulla (ex nihilo) dell’universo. Lamaitre è un sacerdote, e sarà dal 1960 al 1966, anno della sua morte, direttore della Pontificia Accademia delle Scienze.

Il modello dell’universo di Lamaitre, si basa esclusivamente su concetti filosofici e matematici, e tranne che per il riferimento all’espansione di Hubble, mancano nella maniera più assoluta reali riscontri osservativi; il che induce Lamaitre a far riferimento, quale dimostrazione della sua teoria, ai raggi cosmici, giustificandoli come il risultato della trasformazione dell’energia della primordiale esplosione, relativamente al fatto che questi arrivano sulla Terra da ogni parte del cosmo, e quindi non possono essere generati da singole stelle o galassie non essendo queste uniformemente distribuite. Ipotizza quindi per i raggi cosmici un processo di origine non più identificabile nell’universo attuale.

Molti fisici relativisti, quali W. de Sitter, R. Millikan, R. Hoppenheimer, ecc. , confutano questa visione cosmologica, affermando essere prive di fondamento le teorie di Lamaitre sui raggi cosmici, sull’evoluzione delle stelle, nonché errate le estrapolazioni sulla relatività generale e sul secondo principio della termodinamica; alla fine degli anni 30 la prima versione del Big Bang, o dell’universo “pirotecnico”, come a volte lo definiva lo stesso Lamaitre, è accettata da pochissimi scienziati.

Il fallimento della prima versione del Big Bang, non impedisce al fisico sovietico Georgij Antonovich Gamow, allievo di Friedmann, divenuto George Gamow alla fine degli anni 30 dopo aver ottenuto la cittadinanza statunitense, di riproporre la teoria, modificandone alcuni parametri. Gamow negli Stati Uniti lavora al Progetto Manhattan; l’esplosione delle due atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, è per lui fonte di ispirazione per una “aggiornata visione” sull’origine dell’universo. Gamow come Lamaitre, propone per la nascita dell’universo, processi che non sono attualmente riscontrabili [7], ma a differenza di Lamaitre si sofferma sull’abbondanza degli elementi leggeri (elio, litio, deuterio); ma anche questa proposta si scontra con la realtà osservativa, che ne decreta l’inconsistenza teorica.

L’universo nato da una primordiale esplosione, continuava così ad aver scarso credito, oltre al fatto che tra la fine degli ’40 e i primi anni ’50, gli astronomi inglesi Fred Hoyle e Hermann Bondi, e lo statunitense Thomas Gold, propongono un modello cosmologico alternativo al Big Bang, denominato modello dello “Stato stazionario”, che si dimostra però altrettanto inesatto per quanto riguarda la realtà osservativa, realtà che con l’affinamento della tecnologia delle sonde spaziali, sembrava condannare le due teorie ad una sterile ed infinita diatriba, in mancanza di convalide oggettive.

Dalla metà degli anni ’60 la teoria del Big Bang, tornò prepotentemente in auge, grazie a due scoperte: i “quasar” e la “radiazione cosmica di fondo”. Con i primi, sembrava confermata l’ipotesi di un universo in contrazione gravitazionale, con la seconda sembrava si fosse trovata la traccia fossile della primordiale esplosione. Da allora fino ai giorni nostri, la teoria del Big Bang ha conosciuto un’inarrestabile diffusione, soprattutto dopo l’avvio della collaborazione interdisciplinare tra la cosmologia e la fisica delle particelle. I fisici, seguendo la strada indicata a suo tempo da Einstein, stanno cercando di unificare le forze della natura, in quella che è stata definita GUT (Great Unified Theory); il professore Peter Higgs è l’esponente di spicco, tra i ricercatori impegnati in questa impresa, la teoria sulla particella che ha preso il suo nome “bosone di Higgs” o “particella di Dio”, è alla base degli esperimenti tutt’ora in corso con il “Large Hadron Collider” di Ginevra, che si prefiggono di scoprire in che modo è nato l’universo, ovviamente cercando di avvallare l’ipotesi del Big Bang della creazione dal nulla.
Oggi l’universo, secondo il Big Bang, è costituito da “materia oscura”, è costellato da “buchi neri”, è percorso da “corde cosmiche” e da “onde gravitazionali”, è un universo in espansione, secondo la legge di Hubble, ed è nato quindici miliardi di anni fa dal nulla (ex nihilo); l’eco di quella primordiale esplosione poi giunge da ogni luogo dell’universo conosciuto (fondo a microonde a 2,7 °K di temperatura).

Note:

[1] Per una visione più approfondita sulla teoria della relatività, ma soprattutto sulla sua confutazione, vedi l’articolo di Daniele Russo inserito in: Metamorfosi Aliene / Argomenti scientifici / Teoria della Relatività / Processo alla Relatività: parte prima – parte seconda – parte terza.

[2] Olinto De Pretto, nella sua memoria pubblicata nel 1904 dal titolo “ Ipotesi dell’etere nella vita dell’universo” propende per l’Universo senza origine, affermando nelle sue conclusioni che: “..I fenomeni dell’universo dipendono tutti, senza eccezione direttamente o indirettamente, da un’unica forza e da un unico principio: l’Etere, che rappresenta l’energia nella sua forma più semplice e che è infinito, come sono infiniti gli spazi. Nulla esisteva in origine all’infuori di questo fluido che può considerarsi il principio o l’essenza della materia….”. Quindi in totale ed assoluto disaccordo con la visione cosmologica di Einstein.

[3] Nonostante ci siano le prove documentali di come Eddington abbia arbitrariamente mistificato i risultati delle osservazioni dell’eclissi del 1919, per confermare le ipotesi di Einstein, praticamente tutta la letteratura scientifica degli ultimi 80 anni strizza “amorevolmente” l’occhio alle palesi falsità contenute nella relazione del cosmologo inglese. Un significativo esempio lo troviamo nel libro “L’invenzione del Big Bang – Storia dell’origine dell’universo” di Jean-Pierre Luminet 2006 Dedalo Edizioni (titolo originale “L’invention du Big Bang”) volume pubblicato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri francese e del Ministero della Cultura francese. Alla pagina 28 si legge:
“…Nel 1916, Einstein pubblica un articolo che spiega i fondamenti della Relatività Generale in termini più facilmente comprensibili.
Ormai manca solo la verifica sperimentale. Nel maggio 1919 si presenta la possibilità di osservare la deviazione dei raggi luminosi nel campo gravitazionale solare, in occasione di una eclissi particolarmente favorevole all’esperimento previsto, perché il Sole, in primo piano dovrebbe nascondere l’ammasso stellare delle Iadi, molto ricco di stelle….Vengono organizzate due spedizioni britanniche simultanee, una a Sobral (Brasile) diretta da Andrew Crommelin e l’altra all’isola di Principe (Guinea Portoghese) diretta da Arthur Eddington. Il successo è completo: i dati sperimentali, che danno i valori 1”98 più o meno 0”30 a Sobral e 1”61 più o meno 0”30 a Principe, sono compatibili con la previsione di Einstein. Il terreno teorico è ormai pronto per la cosmologia”.
Le previsioni di Einstein sulla deflessione sono del 1911, e davano in realtà un valore di 1”74, significativamente lontano da quello rilevato a Sobral 1”98, e quello rilevato a Principe 1”62. Esiste inoltre il forte sospetto che le previsioni di Einstein fossero già in accordo con i dati sperimentali rilevati poi da Eddington; come se i due si fossero accordati già da lungo tempo su cosa avrebbe dovuto “osservare” Eddington durante l’eclissi, e se poi Eddington non rilevò proprio quello che avrebbe dovuto, andò bene lo stesso, garantiva la Royal Society! La conferma che sia esistito uno scandaloso gioco sotterraneo da parte dei membri della Royal Society (Eddington in testa) per avvalorare la teoria di Einstein, è confermata tra l’altro dalle osservazioni effettuate dal telescopio di Monte Wilson, che tra il 1924 ed il 1926 cercò una ulteriore conferma della deflessione della luce causata dalla gravità, questa volta del sistema binario di stelle “Sirio-SirioB”. Monte Wilson confermò tutte le previsioni teoriche fatte da Eddington sul “redshift gravitazionale” di Sirio. Recenti osservazioni sulle nane bianche (Sirio B è una nana bianca), hanno smentito i dati di Monte Wilson, che sono risultati quattro volte inferiori alla realtà; ma nonostante ciò, sui testi scolastici e di divulgazione scientifica, è riportato che i “redshift gravitazionali” sono una splendida conferma della Relatività generale.

[4] Nel 1854 Riemann, pronunciò il suo Habilitationschrift, di fronte al corpo accademico dell’Università di Gottinga, una consuetudine per i docenti (Privatdozent) di nuova nomina. Questo suo discorso passò alla storia come la prima grande revisione della geometria. Dal libro di Carl G. Boyer – Storia della matematica – Arnoldo Mondadori Editore Milano 1976 – Ristampa anno 2010 – pag. 625.
“..La tesi recava il titolo: Uber die Hypothesen welche der Geometrie zu Grunde liegen (Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria), ma essa non forniva alcun esempio specifico; sosteneva invece una visione globale della geometria, come studio di varietà di un numero qualsiasi di dimensioni in qualsiasi genere di spazio. Le geometrie di Riemann sono non euclidee in un senso molto più generale di quello di Lobacevskij, dove si tratta semplicemente di stabilire quante rette parallele, sono possibili per un punto. Secondo la concezione di Riemann, la geometria non dovrebbe neppure necessariamente trattare di punti o di rette o di spazio, nel senso ordinario, ma insiemi di ennuple ordinate che vengono raggruppate secondo certe regole…” .

[5] L’equilibrio dell’universo statico di Einstein, venne turbato dal matematico russo Alexander Friedmann, quando nel 1922 risolvendo le equazioni della Relatività Generale dimostrò come si sarebbe comportato l’Universo al trascorrere del tempo. Per Friedmann infatti l’Universo non poteva che espandersi o collassare, contrariando Einstein al punto da fargli ritirare la sua costante cosmologica. In pratica, usando una piccola analogia aritmetica, si può dire che Einstein di fronte al fatto che 5+3 non può dare come risultato 9, introdusse un elemento che equilibrava questa disarmonia. Chiamò il numero 1 “costante cosmologica”, diede a questa costante il nome della lettera greca Lambda, la aggiunse alla precedente somma 5+3+(lambda) ed ottenne come risultato il numero 9. Nulla a che vedere con la realtà, ma solo la conferma che con la matematica si può dimostrare tutto.

[6] La legge di Hubble, più correttamente indica la relazione tra i redshift e la magnitudine apparente delle galassie, piuttosto che la loro distanza. Edwin Hubble nonostante la sua scoperta fosse all’epoca apparentemente confermata dalle osservazioni, tenne sempre aperta l’ipotesi secondo la quale i redshift non fossero indotti dalle velocità di recessione delle galassie, ma da qualche altro fenomeno. Cinquant’anni anni più tardi un collaboratore di Hubble, il cosmologo Halton Arp, dimostrerà che i redshift indicano l’età delle galassie, demolendo così l’ipotesi di un universo in espansione.

[7] Nel 1948 Gamow, inizia una lunga collaborazione con i cosmologi Ralph Hasher Alpher e Robert Herman, e insieme a loro proprio in quell’anno pubblica sulla rivista “Nature” – 30 Ottobre e 13 Novembre – un articolo sulla genesi dell’universo, dove, in virtù dei calcoli di Halpher ed Herman, si ipotizza che nell’universo il processo di formazione degli elementi (nucleosintesi), sia avvenuto in due fasi: la prima, al momento dell’esplosione, quando si sono prodotti tutti gli elementi pesanti, la seconda, dopo il brusco raffreddamento dell’universo (a solo alcune migliaia di gradi), quando si sono creati gli elementi leggeri.
Sorge il ragionevole dubbio che ipotizzare, per la nucleosintesi, processi di formazione non più identificabili nell’universo attuale, non sia proprio in sintonia con l’etica della scienza, la quale prevede prove dimostrative o osservative a supporto di qualsiasi teoria. Nemmeno la dimostrazione matematica, quale convalida della teoria della formazione degli elementi in due fasi, è eticamente accettabile, perché si basa su arbitrarie considerazioni personali di Alpher ed Herman, desiderosi solo di dare una validità scientifica alla teoria di Gamow, teoria che comunque non si accordava con le osservazioni.

Fonte: Metamorfosi Aliene