La cosmologia del plasma o teoria dell’Universo elettrico

Agli inizi degli anni ’30 il fisico svedese Hannes Alfvén (1908-1995), fu incaricato di progettare contatori Geiger che potessero misurare le energie dei raggi cosmici. I raggi cosmici sono flussi di particelle ad alta energia (fino a 1020 eV), che arrivano sulla Terra indistintamente da ogni parte del cosmo. L’ipotesi allora più accreditata, per spiegarne l’origine, era quella dei fisici Robert Millikan e James Jeans, i quali li consideravano come risultato di fenomeni di annichilazione o fusione nucleare. I processi di generazione, proposti da Millikan e Jeans però, non erano in grado di spiegare come le particelle di questi raggi, potessero avere valori energetici così alti. Alfvén, ispirandosi agli studi dello scienziato norvegese Kristian Birkeland (1867-1917), propose che i raggi cosmici fossero originati da fenomeni elettrici.

Nel 1895 Birkeland scoprì come si formano le aurore boreali, in analogia al fenomeno di luminescenza generato da materiale fluorescente colpito da una corrente elettrica all’interno di un tubo dove sia stato creato un vuoto parziale: in pratica non fece altro che verificare come processi celesti potessero avere riscontro anche nei laboratori terrestri; Birkeland fu il primo scienziato moderno ad intuire come il cosmo fosse percorso da correnti elettriche e caratterizzato da immensi campi magnetici. Le misurazioni strumentali delle tempeste magnetiche aurorali, effettuate all’estremo nord della Norvegia, confermarono le sue ipotesi sul legame tra le aurore terrestri e le macchie solari; in pratica le aurore non sono altro che la luminescenza generata dal flusso di particelle solari, originate dalle macchie, nel momento in cui colpiscono la magnetosfera del pianeta. [8]
Alfvén, quindi, partendo dall’idea di Birkeland, sulla connotazione elettromagnetica del cosmo, riuscì a creare un modello cosmologico, basato sull’elettrodinamica, mettendo le basi di quella che in seguito verrà definita “elettrodinamica cosmica”.

In quegli anni (1930) venne messo a punto uno strumento, chiamato “ciclotrone” (perfezionato nel 1932 dal fisico Ernest O. Lawrence), capace di accelerare particelle elettricamente cariche, in genere ioni, e farle collidere con nuclei bersaglio, per poter studiare attraverso la disgregazione degli stessi, la composizione più profonda della materia [9]. Tale strumento si basava sul noto principio, che un campo elettrico accelera una particella, mentre un campo magnetico ne guida il percorso (il ciclotrone è stato l’antesignano dei moderni acceleratori di particelle, vedi l’L.H.C.). Alfvén prendendo spunto dagli esperimenti con il ciclotrone, si domandò se fosse possibile identificare un fenomeno di accelerazione ciclotronica nel cosmo, così da giustificare l’alta energia dei raggi cosmici.

Le ricerche partirono da alcune semplici e conosciute oggettività scientifiche:

1. si sapeva che il nostro Sole generava un immenso campo magnetico, e si sapeva dell’esistenza di stelle binarie, una configurazione stellare abbastanza comune nell’Universo, dove due stelle ruotano l’una attorno all’altra; Alfvén pensò che questa rotazione potesse creare giganteschi campi magnetici.
2. si conoscevano le caratteristiche fisiche di gas ionizzati e rarefatti. Negli anni ’20 il chimico statunitense Irwing Langmuir denominò plasma questi gas rarefatti e ionizzati ossia gas i cui atomi hanno perso elettroni e che manifestano la capacità di trasportare correnti elettriche; su tali basi Alfvén teorizzò l’esistenza di plasma nel cosmo, capace di fare da conduttore per il trasporto delle correnti elettriche.
3. si conosceva il principio del “generatore omopolare o unipolare”, uno strumento messo a punto dal fisico Michael Faraday nel XIX secolo, dove, muovendo circolarmente un conduttore in un campo magnetico, si creava un campo elettrico perpendicolare al piano di rotazione del conduttore (il famoso principio della dinamo).
Alfvén propose quindi, un modello cosmico di acceleratore di particelle, che verteva sulle stelle binarie quali generatori di campi elettrici e quindi di flussi di correnti e sul plasma quale conduttore delle stesse correnti. In questo modo, calcolò si potessero generare correnti da oltre un miliardo di Ampere, le quali potevano accelerare ioni o elettroni fino ad energie pari a 1TeV (1012 eV) [10], giustificando così l’alta energia dei raggi cosmici.
I fisici ed i cosmologi del tempo, ignorarono le proposte di Alfvén; per loro un Universo pervaso dall’elettromagnetismo era semplicemente assurdo, avevano da poco accettato la visione einsteniana di un cosmo gravitazionale, per dibattere su nuove proposte scientifiche. Ma più passava il tempo, più si affinavano gli strumenti di indagine, e più la realtà cosmologica osservativa dava ragione alle previsioni di Alfvén, tanto da indurre i cosmologi a ripercorrere la strada che fu dei loro predecessori tolemaici: aggiustare la teoria, per accordarla alle osservazioni che smentivano l’universo gravitazionale a favore di quello elettrodinamico; ed ecco nascere, a supporto del cosmo relativistico, “energia oscura”, “materia oscura”, e “buchi neri”.

Alfvén con la sua teoria dell’Universo Elettrico, fu sempre in antitesi assoluta con le teorie della Relatività e del Big Bang; per lui la gravitazione universale newtoniana, non poteva spiegare la stabilità orbitale dei pianeti, in quanto la gravità era una forza immensamente meno potente dell’elettromagnetismo. L’Universo non poteva essere nato da una primordiale esplosione, non era omogeneo, né tanto meno isotropo, come voleva la Relatività. L’universo elettrico, secondo Alfven era governato dall’elettromagnetismo, non aveva avuto origine e non avrebbe avuto fine, si autoevolveva e si autoregolava.

Le smentite del Big Bang

1) – L’Universo non è nato 15 miliardi di anni fa !

Alla metà degli anni ’80 gli astronomi osservativi, notarono come le galassie nell’Universo visibile formassero enormi agglomerati, denominati “superammassi” (supercluster), che misuravano in larghezza fino ad un miliardo di anni luce. Furono due astronomi statunitensi dell’Hawaii University, Brent Tully e J.R. Fischer, che decisero di mappare con maggiore precisione l’universo, fino ad una distanza di un miliardo e mezzo di anni luce. Emersero così strutture più complesse che vennero chiamate “sistemi di superammassi” (supercluster complexes), giacenti su piani paralleli e collegati tra loro come un’infinita rete di filamenti.

Queste strutture contraddicevano la presunta omogeneità dell’universo, e la stessa stima dell’età; infatti, quanto più è disomogeneo l’universo, e le osservazioni di Tully e Fischer confermavano ciò, tanto più tempo impiegheranno stelle e galassie a formarsi, ed i 15 miliardi di anni teorizzati dal Big Bang quale età dell’universo, erano troppo pochi per giustificare la formazione dei sistemi individuati da Tully e Fischer, per i quali, l’universo così strutturato avrebbe dovuto avere almeno 100 miliardi di anni, secondo una valutazione presumibilmente sottostimata. Le misurazioni di Tully e Fisher nonostante altre conferme osservative, ad esempio quelle di Margaret J. Geller e John P. Huchra dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e quelle del Lick Observatory e della Durham University, che aumentarono a 150 miliardi di anni la stima sull’età dell’universo, non ebbero alcun impatto sulla teoria del Big Bang, per la quale, l’universo continuava e continua ad avere 15 miliardi di anni.

2) – L’universo non si espande!

I redshift non sono l’indice della velocità di recessione dei sistemi galattici, ma una intrinseca caratteristica legata all’età.
Da quando nel 1929, Edwin Hubble osservò quella che sembrava una relazione tra lo spostamento verso il rosso dello spettro di emissione della luce delle galassie e la magnitudine o luminosità apparente delle stesse (più la luce delle galassie era debole, più lo spettro di emissione si spostava verso il rosso, quindi più le galassie dovevano essere lontane), lasciò sempre aperta la possibilità che questa relazione non implicasse necessariamente l’universo in espansione. Infatti era ben consapevole che l’analisi di “solo” 46 spettri e 18 distanze di galassie che tra l’altro non si trovavano oltre l’ammasso della Vergine, non erano sufficienti per dare una conferma alla presunta relazione tra redshift e magnitudine. Questa sua raccomandazione non venne seguita e da allora la Legge di Hubble è sinonimo di un universo in espansione.
Nel 1963 la scoperta dei “quasar” (Quasi stellar radio sources o QSO), sembrò confermare l’ipotesi di un universo in espansione, in virtù dei “redshift” di questi oggetti che risultavano più elevati di quelli di qualsiasi galassia osservabile. Il fatto poi di essere anche potentissime radiosorgenti, avvalorò l’ipotesi che si stessero verificando fenomeni di contrazione gravitazionale, tali da trasformarli in oggetti estremamente massicci aventi una massa milioni di volte quella del nostro sole, che emettevano smisurate quantità di energia. Quindi se esistevano oggetti che stavano collassando in una singolarità (che vennero poi chiamati buchi neri) era logico poter supporre che anche l’universo avrebbe potuto nascere e collassare da e in una singolarità.

Halton Arp allievo di Edwin Hubble, fu colui che fece crollare tutto questo fantascientifico castello cosmologico, trovò infatti che esistevano galassie, ad esempio NGC 4258 collegata da getti di materia ad oggetti rivelatisi poi attivissime sorgenti di raggi X (quasar), oggetti che normalmente si presentavano in coppie e che avevano redshift inspiegabilmente più alti della galassia da cui traevano origine.

L’unica spiegazione plausibile per questa apparente contraddizione, in cui oggetti con redshift diversi si mostravano inequivocabilmente collegati tra di loro da getti di gas, non poteva che essere la smentita della teoria sull’espansione dell’universo, quindi dei redshift quale parametro per misurarne la velocità di recessione.
Lo spostamento spettrale verso la banda infrarossa determina quindi più plausibilmente, l’età degli oggetti celesti. Quelli che Arp ha definito “redshift intrinseci” (spostamenti non dovuti alla velocità, ma allo stato peculiare della materia), si manifestano come una delle più clamorose smentite della teoria del Big Bang, anche se ovviamente sono ignorati dalla cosmologia ufficiale, la quale perseguendo questa sua ottusa politica, come ha affermato lo stesso Arp, si troverà un giorno a dover fronteggiare una delle più imbarazzanti “cantonate” della storia intellettuale dell’umanità.

3) – L’universo non è vuoto!

Nel 1887 i fisici Albert Abraham Michelson e Edward Williams Morley condussero un esperimento, per rilevare l’esistenza dell’etere, cioè di quell’ipotetico mezzo universale attraverso il quale la luce si può propagare in virtù della propria caratteristica di essere un’onda elettromagnetica, esperimento che diede un risultato diverso dalle aspettative, ma che fu “non nullo”; una parte importante della comunità scientifica però, decise di dare una interpretazione negativa dello stesso. Da allora per i fisici non esiste alcun mezzo universale di propagazione della luce. Stranamente la stessa comunità ha però definitivamente cancellato dalla storia della fisica, un analogo ma più accurato esperimento sulla ricerca del vento d’etere condotto dal fisico statunitense Dayton Miller, il quale dedicando 20.000 ore alla ricerca ed usando interferometri di maggiori dimensioni, rispetto a quello usato da Michelson e Morley, dichiarò di aver dimostrato definitivamente l’esistenza dell’etere.

Ci pensò poi Einstein ad eliminare definitivamente il concetto di “mezzo intergalattico”, dichiarando che per la “sua” Relatività tale concetto era ininfluente. Nel 1954 Enrico Fermi affermò che le particelle dei raggi cosmici, per avere valori energetici così alti (circa 1020 eV ), dovevano aver subito un’accelerazione per il passaggio attraverso “nuvole magnetizzate”, confermando così indirettamente l’ipotesi di un universo non vuoto ma pervaso dall’elettricità, come avevano già supposto sia Birkeland che Alfven anni prima. Negli anni ’70, Tony Peratt allievo di Alfven, ricercatore presso il Maxwell Laboratory di San Diego in California, constatò come correnti elettriche nel plasma, generassero vorticosi filamenti che assomigliavano a galassie a spirale in miniatura. Nel 1984 i ricercatori della Columbia University, in collaborazione con i colleghi del radiotelescopio VLA (Very Large Array) di Soccoro nel New Mexico individuarono proprio nel bel mezzo della Via Lattea vortici magnetici a forma di filamenti, proprio come quelli trovati da Peratt, che si estendevano per centinaia di anni luce.
Nel 1989 un gruppo di radioastronomi italiani e canadesi rilevarono emissioni radio lungo uno dei superammassi scoperti da Tully e Fischer; dato che elettroni imprigionati in un campo magnetico emettono radiazioni radio, voleva dire che i filamenti di plasma che trasportano correnti elettriche esistono anche su scale supergalattiche, a conferma quindi dell’ipotesi di un universo non vuoto.

Note:

[8] Fu uno scienziato inglese, Sidney Chapman a rifiutare le teorie sull’origine delle aurore e sulla presenza di elettricità nello spazio; Chapman però a differenza di Birkeland, per le sue ipotesi, utilizzò il metodo deduttivo, ovvero si avvalse esclusivamente della matematica, con personali considerazioni sui limiti fisici dei fenomeni aurorali, escludendo che questi potessero essere generati da correnti elettriche solari, e confinandoli all’interno dell’atmosfera terrestre. Chapman con le sue equazioni, seppellì per 50 anni le teorie empirico-osservative di Birkeland; questa mistificazione della realtà, non gli consentì comunque di superare l’esame della storia, che diede poi ragione a Birkeland, quando le sonde Voyager e Pioneer, negli anni ’70, rilevarono la presenza di correnti elettriche anche attorno ai pianeti Giove, Saturno e Urano.

[9] Le energie raggiunte dagli ioni (di idrogeno) accelerati, all’interno del primo ciclotrone, fu di 80KeV (1KeV = 103 eV). Le massime energie raggiunte nei più perfezionati ciclotroni, sono state 22 e 24 Mev (1MeV = 106 eV), a seconda che si utilizzassero protoni o deutoni.

[10] L’elettronvolt (eV), è l’unità di misura dell’energia cinetica accumulata da una particella carica (ione o elettrone), quando questa viene accelerata da un campo elettromagnetico variabile. E’ quindi, il prodotto della carica della particella per la tensione di accelerazione.

Conclusioni

Relatività e Big Bang sono due giganti dai piedi d’argilla, le basi delle moderne teorie fisiche e cosmologiche sono scientificamente inconsistenti.
La scienza, tutta la scienza “ufficiale”, dal darwinismo alla Relatività, dalla meteorologia alla medicina, dalla genetica al Big Bang, è lo specchio della società in cui viviamo, una società sempre più in crisi etica e morale, dove giornalmente affondano miti che sembravano destinati all’eternità, che riguardano le ideologie, le religioni o l’economia.
La scienza è sempre più in affanno, e fatica a spiegare le palesi contraddizioni delle proprie teorie.
L’alternativa alla cosmologia del Big Bang è la Teoria dell’Universo Elettrico o cosmologia del plasma, proposta da Hannes Alfen negli anni ’30 del XX secolo, il quale riprendendo le intuizioni e gli studi di Kristian Birkeland sulla natura elettrica del cosmo, diede corpo ad una teoria che coniuga osservazione e verifiche sperimentali di laboratorio, che spiega complesse fenomenologie celesti con semplici constatazioni di carattere elettrodinamico, ma soprattutto dimostra la scalabilità della fisica dell’universo, ossia la possibilità di riprodurre in laboratorio (fisica del plasma) le condizioni che innescano ad esempio la formazione delle galassie e spiegano la loro forma a spirale, constata cioè come l’infinitamente grande sia governato dalle stesse regole dell’infinitamente piccolo.
Si può quindi affermare che è elettromagnetismo il motore dell’universo.
Un universo pervaso da immensi flussi di plasma che trasportano ciclopiche correnti galattiche, un universo non vuoto ma percorso da trame infinite di elettroni e di ioni; correnti elettriche la cui dinamica da vita a galassie, stelle e pianeti, un universo infinito nello spazio e nel tempo, che si rispecchia nelle intuizioni di Anassagora, di Aristarco di Samo, di Maxwell, di Olinto de Pretto, di Birkeland e di Alfven; un universo non nato per caso ma per la vita.
Chi cent’anni fa buttò alle ortiche la possibilità che l’universo non fosse vuoto e che fosse regolato dall’elettrodinamica, ed optò per la meccanica newtoniana (gravitazione universale), non solo compì una premeditata violenza nei confronti della scienza, ma si assunse la responsabilità di arrestare lo sviluppo conoscitivo del genere umano.

[8] Fu uno scienziato inglese, Sidney Chapman a rifiutare le teorie sull’origine delle aurore e sulla presenza di elettricità nello spazio; Chapman però a differenza di Birkeland, per le sue ipotesi, utilizzò il metodo deduttivo, ovvero si avvalse esclusivamente della matematica, con personali considerazioni sui limiti fisici dei fenomeni aurorali, escludendo che questi potessero essere generati da correnti elettriche solari, e confinandoli all’interno dell’atmosfera terrestre. Chapman con le sue equazioni, seppellì per 50 anni le teorie empirico-osservative di Birkeland; questa mistificazione della realtà, non gli consentì comunque di superare l’esame della storia, che diede poi ragione a Birkeland, quando le sonde Voyager e Pioneer, negli anni ’70, rilevarono la presenza di correnti elettriche anche attorno ai pianeti Giove, Saturno e Urano.

[9] Le energie raggiunte dagli ioni (di idrogeno) accelerati, all’interno del primo ciclotrone, fu di 80KeV (1KeV = 103 eV). Le massime energie raggiunte nei più perfezionati ciclotroni, sono state 22 e 24 Mev (1MeV = 106 eV), a seconda che si utilizzassero protoni o deutoni.

[10] L’elettronvolt (eV), è l’unità di misura dell’energia cinetica accumulata da una particella carica (ione o elettrone), quando questa viene accelerata da un campo elettromagnetico variabile. E’ quindi, il prodotto della carica della particella per la tensione di accelerazione.

Bibliografia essenziale:

Fisica e filosofia – Werner Heisemberg – Il Saggiatore 1961
Storia della Matematica – Carl B. Boyer – Mondadori Editore 1976
Il Big Bang non c’è mai stato – Eric J. Lerner – Dedalo Edizioni 1994
Il significato della relatività – Albert Einstein – Newton & Compton Editori 1997
Albert Einstein e Olinto De Pretto: La vera storia della formula più famosa del mondo Umberto Bartocci – Società Editrice Andromeda 1999
La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna – Lucio Russo – Feltrinelli Editore 1996
The Electric Universe – Wallace Thornhill , David Talbott – Mikamar Publishing 2002
L’invenzione del Big Bang. Storia dell’origine dell’Universo – Jean Pierre Luminet – Dedalo Edizioni 2006
Einstein. La sua vita, il suo universo – Walter Isaacson – Mondadori Editore 2008
Seeing Red. L’Universo non si espande – Halton Arp – Editoriale Jaca Book 2009
Quantum. Da Einstein a Bohr, la teoria dei quanti, una nuova idea della realtà – Manjit Kumar – Mondadori Editore 2009
QED – Richard P. Feynman – Adelphi 2010

FONTE: Metamorfosi Aliene